Proposta Radicale 4 2022
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Saggio

La natura della libertà

di Maria Antonietta Farina Coscioni

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Italia, L’ora di diritto

Conversazione (rubata) sulle ragioni filosofiche e pragmatiche che consigliano una rivoluzione choc nel sistema giudiziario italiano, amnistia inclusa di Marco Pannella e l’allora procuratore aggiunto di Venezia, Carlo Nordio.

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La natura della libertà

La natura della libertà

di Maria Antonietta Farina Coscioni

Quello che segue è il testo della conferenza tenuta a Terni il 6 settembre scorso nell’ambito di un ciclo di “lectio” sulla “Natura della libertà” organizzato da Umbria Green Festival.

Un tema, quello scelto per questo evento, impegnativo e appassionante; anche complesso, dal momento che libertà implica e comporta una relazione vastissima di diritti che non possono essere disgiunti dai doveri. Uno dei padri nobili del nostro Risorgimento, Giuseppe Mazzini, di cui quest’anno distrattamente si sono celebrati i 150anni della morte, in quello che può essere considerato il suo testamento e lascito, parla espressamente non solo dei “diritti”; anzi, questi sono anteposti, non certo a caso, ai “doveri”. 

Doveri verso la collettività e verso noi stessi, la nostra coscienza. Ho cercato qualche definizione che potesse aiutarmi nella definizione del tema proposto dal convegno. Ecco che mi sono imbattuta in Martin Luther King, il campione dei diritti civili che tutti sappiamo. Dà della libertà una definizione lapidaria e precisa: “La mia libertà finisce dove comincia la vostra”. Però, per paradosso che possa sembrare, è anche vaga. Un altro campione dei diritti civili e umani, Nelson Mandela, sostiene che “essere liberi non significa solo sbarazzarsi delle proprie catene, ma vivere in un modo che rispetta e valorizza la libertà degli altri”. C’è già qualche contorno in più.

Un monumento della letteratura non solo francese, Victor Hugo, suggerisce un elemento interessante, che costituisce anche una sorta di cartina al tornasole: “È dall’ironia che comincia la libertà”. In effetti sotto le dittature, non importa di quale colore, ridere è pressoché vietato. La risata, lo sberleffo, la presa in giro è un qualcosa di intrinsecamente insito con la democrazia. Si può sostenere che ci sono almeno germi di democrazia laddove ci sono artisti comici, giornali e riviste satiriche; dove si può ridere dei potenti e dei governanti senza per questo finire in carcere o peggio, fare la fine dei giornalisti di “Charlie Hebdo”. 

Non poteva che essere Cicerone a ricordarci che per poter essere liberi occorre essere schiavi delle leggi. E un grande giurista a noi più vicino, Piero Calamandrei, saggiamente osserva che la libertà è qualcosa come l’aria: ci si accorge quanto sia preziosa solo quando comincia a mancare. Prima di concludere questa carrellata, val la pena di far tesoro di un ammonimento del filosofo e psicanalista Erich Fromm: “L’uomo crede di volere la libertà. In realtà ne ha una grande paura. Perché la libertà lo obbliga a prendere delle decisioni, e le decisioni comportano rischi”. 

Ora però mi accorgo di aver solo fissato qualche paletto d’orientamento. Occorre evidentemente scavare di più. A questo punto nulla di meglio che affidarsi alla Costituzione, quel testo che in tanti si affannano a modificare; forse la modifica migliore sarebbe quella di cominciare finalmente ad applicarla integralmente. 

Bisogna dire che i Padri Costituenti sono stati molto saggi. Non solo per la loro indubbia levatura culturale, per la passione che li animava, per la dura selezione (il fascismo e la guerra) che li ha forgiati. La Costituzione (e questa è stata una loro grande intuizione) è comprensibile da chiunque abbia la voglia di leggerla: sia laureato con il massimo della lode, sia da una persona che potuto solo frequentare la scuola dell’obbligo.

Ecco: si può dire che la comprensione, il “capire”, è uno dei fondamenti della libertà. La “natura” della libertà è fatta di conoscenza, di possibilità di comprendere; dunque, grazie alla conoscenza e alla comprensione di poter partecipare ai processi decisionali che ci riguardano.

Cosa dice la Costituzione? All’articolo 13 sancisce che “la libertà personale è inviolabile”, e che: “non è ammessa alcuna forma di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’Autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”. Ancora una volta il binomio “Diritto/dovere”. 

La Carta fondamentale della nostra Repubblica riconosce che ciascuno di noi è titolare di una gamma di diritti per la nostra garanzia fisica e psichica. Sono i diritti di libertà, l’uguaglianza, innanzitutto: in base all’articolo 3 della Costituzione “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge”. Tutto quello che è in contrasto con questo articolo è da ritenersi incostituzionale. 

C’è poi l’articolo 25 della Costituzione: nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Non è “solo” una semplice garanzia processuale; è un vero e proprio diritto di libertà, ci mette al riparo da possibili abusi degli organi esecutivi, e nei confronti del legislatore ordinario. Non si può essere puniti per un comportamento che prevede una sanzione che non esisteva quando quel comportamento ha avuto luogo. E si arriva ora a un altro importante articolo: il 32, quello che concerne il trattamento sanitario: il testo costituzionale fissa il limite invalicabile del rispetto della persona umana. Conviene leggerlo: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Direi che in questo articolo c’è davvero tutto, non c‘è bisogno di chiarire, di spiegare: diritto alla vita. Ma diritto anche alla salute, e alla dignità della vita, e la possibilità di stabilire tempi e modi di questa dignità, e quando non la si ritiene più tale. 

   Il diritto di libertà personale poi si completa con l’affermazione che la persona non deve subire violenze fisiche o morali in nessun caso, anche se sottoposta a legittime restrizioni di libertà. Vietate le torture, insomma. Poi la libertà si manifesta ed esprime anche con le libertà di domicilio, soggiorno, circolazione, emigrazione, scelta del lavoro, iniziativa economica, libertà patrimoniali.

Sempre in tema di libertà, c’è poi un importante articolo, il 19, anch’esso di cristallina chiarezza, nella sua esposizione: “Tutti” (e, beninteso, tutti significa letteralmente “tutti”) hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”. Sul concetto di “buon costume” evidentemente si può cavillare a lungo; ma la sostanza, quella che conta, è che ognuno ha il diritto di credere o non credere in quello che vuole e ritiene sia giusto.

Facciamo un piccolo salto, e si arriva all’articolo 21, anche questo molto bello nella sua sintetica chiarezza: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. Facile, semplice, inequivocabile. Si possono poi citare altri articoli-garanzia e tutela: il 33 sulla libertà di insegnamento; il 15 sulla libertà e diritto a riservatezza e segretezza della corrispondenza e forme di comunicazione privata; le libertà collettive: di riunione, associazione, sciopero, il diritto di radunarsi pacificamente e senz’armi (articolo 17). C’è perfino, per quanto limitato, un “diritto di resistenza”, che consente rimangano impuniti i reati di oltraggio, violenza o minaccia a pubblico ufficiale o a corpo politico amministrativo o giudiziario, quando “il pubblico ufficiale, o l’incaricato di un pubblico servizio, ovvero il pubblico impiegato abbia dato causa al fatto… eccedendo con atti arbitrarî i limiti delle sue attribuzioni”. Significa che “il diritto di resistenza” si erge contro le ingerenze indebite dei titolari degli enti preposti all’esecuzione delle norme. Insomma la Costituzione italiana, fosse applicata, è un ottimo scudo per il cittadino di fronte alle possibili prevaricazioni e abusi del potere, dei poteri.

Quello della “Libertà” e la sua natura è del resto una questione importante, un concetto “classico”, attraversa la filosofia del diritto, la storia del diritto non solo italiano, il diritto costituzionale, la sociologia del diritto. Ha visto impegnati personaggi come Aristotele, Platone, Socrate; e poi Kant, Hegel, San Tommaso, un elenco sterminato di personalità, e ancora, giustamente, ci si interroga e si indaga. 

Cerco di alleggerire un po’ il discorso. Non so quanti abbiano visto e ricordino un film di Massimiliano Bruno, “Viva l’Italia”. È del 2012, ogni tanto è proiettato dalle televisioni private. Racconta di un politico, interpretato da Michele Placido, leader di un partito che dà il titolo al film, “Viva l’Italia”, che approfitta della sua carica e del suo ruolo per fare i suoi interessi, quasi mai leciti. Tra le varie cose non commendevoli, aver sistemato grazie a raccomandazioni e favori, i tre figli: uno è direttore del personale di un’azienda che si occupa di ristorazione, ingenuo e incapace; l’altro figlio è medico in un miserabile reparto geriatrico; la figlia vuole fare l’attrice teatrale. Il discutibile politico, mentre si intrattiene con l’amante, viene colpito da un ictus, che gli danneggia la parte del cervello responsabile dei freni inibitori. Da quel momento il politico è costretto a dire sempre e solo la verità; e naturalmente vengono fuori tutti gli altarini, pubblici e privati. Si compromette politicamente, deve per forza confessare alla moglie di averla tradita ripetutamente; e sempre seguendo il paradosso, finisce con una proposta di legge: istituire in Costituzione l’articolo 140: che recita: “Tutti i cittadini hanno il diritto di conoscere la verità”.

Ecco: Marco Pannella e i radicali non hanno questa pretesa; più “semplicemente” chiedono che sia statuito il diritto alla conoscenza; e qui torniamo a quello che cercato di dire fin dall’inizio. La civiltà si fonda sulla circolazione delle informazioni, l’insegnamento, la scienza e la libertà di ricerca, la cultura: in una parola, la conoscenza; e in parallelo sul sistema di governo che per vocazione ne apre a tutti l’accesso: la democrazia.

Democrazia, conoscenza, libertà. Questo è il trinomio. Da conquistare, difendere, nutrire ogni giorno, ogni ora. Qui, poi si innesta un’altra questione anch’essa complessa e urgente: la fortuna di poter disporre di una quantità di informazione e di conoscenze incomparabilmente maggiore rispetto a tre secoli fa, o anche solo cinquant’anni fa, ci rende davvero più liberi, e in grado di poter prendere decisioni più sagge e giuste? In teoria sì. Nella pratica molte volte no. Mai la comunicazione è stata così ampia, rapida, presente; mai come in questi tempi si dispone di elementi e strumenti per giudicare chi detiene il potere, chi ci governa, e per orientarci in proposito. Come mai, allora, non solo l’Italia, ma il mondo, vengono governati e guidati così male? Che uso viene fatto, o non viene fatto, della conoscenza? Purtroppo occorre prendere atto che da sempre una delle forze che governano le nostre società è la menzogna: menzogna e disinformazione cosciente, consapevole, abilmente architettata e posta in essere. Il rischio è grave, il pericolo reale: la menzogna infetta e inquina la politica, la società, i mezzi di informazione, la conoscenza scientifica, gli strumenti educativi e formativi, la produzione culturale.    

Menzogna; negazione della conoscenza; minaccia concreta e reale per la e le democrazie. Qui è la natura della libertà, che dobbiamo riuscire a far convivere con una pratica benefica e ristoratrice: quella del dubbio. Mi verrebbe da dire:

Dubito, dunque sono”. Dovrebbe essere la parola d’ordine di ogni persona autenticamente liberale, democratica, rispettosa.

Italia, L’ora di diritto

Italia, L’ora di diritto

Conversazione (rubata) sulle ragioni filosofiche e pragmatiche che consigliano una rivoluzione choc nel sistema giudiziario italiano, amnistia inclusa di Marco Pannella e l’allora procuratore aggiunto di Venezia, Carlo Nordio.

Nordio: “Per quanto riguarda i rapporti tra giustizia e politica, direi che recentemente ci sono degli aspetti positivi, nel senso che quella contrapposizione quasi astiosa che per anni si è avuta oggi si è un po’ mitigata. Se però da questa buona notizia transitiamo sul terreno concreto, le buone notizie si esauriscono lì. Nel senso che non solo non è stato fatto nulla per migliorare la situazione della giustizia, delle carceri, dei detenuti o per accelerare i processi, anzi si è andati nella direzione opposta. Faccio un esempio. Penso che tutti in Italia auspichino la diminuzione della corruzione, la punizione dei corrotti, l’attenzione delle forze dell’ordine e della magistratura nei confronti di questo fenomeno pernicioso. Però, se si pensa di combattere la corruzione istituendo nuovi reati e alzando le pene, questa è una pia illusione. Lo dico a ragion veduta, benché a favore di questa legge si siano schierate tante forze politiche, l’Associazione nazionale magistrati e persone di elevata caratura morale. Io mi permetto di manifestare il mio scetticismo. Ho sempre pensato che non sia attraverso l’inasprimento delle pene e l’aumento dei reati che si combatte la criminalità. La corruzione si combatte attraverso una profonda modifica legislativa, dell’aspetto delle procedure che devono essere semplificate, e dell’aspetto delle competenze che devono essere rese più chiare e trasparenti. Se il cittadino deve bussare a 100 porte, invocando 100 leggi complicate, come accade oggi, è inevitabile che qualcuno alla fine gli faccia sapere che l’ingranaggio si è inceppato e che deve ungere le ruote per farlo ripartire. Se invece dovesse bussare a una porta sola, invocando una legge chiara, sarebbe molto più difficile in questo caso chiedergli la mazzetta. Anche ammesso poi che le maggiori pene funzionassero, questo potrebbe accadere se l’intero sistema penale funzionasse, e invece qui la nota è ancora più dolente perché il sistema processuale penale nostro è sfasciato. È sfasciato a tal punto che è di questi giorni la notizia che si vorrebbe reintrodurre, per mancanza di fondi, la scritturazione a mano del processo dibattimentale orale”. “Un processo accusatorio orale, come quello strutturato dal 1989, condotto a mano e con la penna a biro è destinato a fallire”. “Se a questo aggiungiamo la lentezza endemica che si coniuga all’assoluta incertezza della pena, al solito paradosso che in Italia si entra in prigione facilmente prima del processo, quando si è ancora presunti innocenti, e poi magari si esce perché c’è una prescrizione quando si è colpevoli conclamati. E da ultimo, non meno importante, la situazione deplorevole, drammatica, censurata e censurabile, delle nostre carceri. Allora il pessimismo è totale”.

Pannella: “Adesso il problema vero è l’amministrazione della giustizia italiana, che è deplorata. Uso questo termine perché anche il presidente della Repubblica ha detto ‘proviamo vergogna e orrore’ della situazione odierna, quindi mi permetto anche io di inserire questo elemento che è di sdegno, della corruzione la peggiore – la corruzione intellettuale, la corruzione non democratica”. “Vi sono regioni italiane nelle quali, fra cause civili pendenti che si trascinano e procedimenti penali, abbiamo fino al 15-18 per cento delle famiglie che vengono investite da questa sofferenza, che in realtà è una non-giustizia”. “La legge non è più quasi mai vigente. Le leggi vigenti non sono più, a nessun livello, rispettate. Per sottocultura ma anche per incapacità tecnica”. “Abbiamo 50-80 mila carcerati – perché ci sono anche i poliziotti – che reagiscono a una situazione folle, da anni ’40 tedeschi e nazisti, con nonviolenza, con lo sciopero della fame. uesto io le dico”. Allo stesso tempo “abbiamo un dilagare di dotti narcisi del diritto, senza nessun rapporto con quello che accade. E quindi chiediamo aiuto perché noi cerchiamo di dare corpo, letteralmente, alla legge”.

Nordio: “Le considerazioni fatte sono anche di ordine filosofico. Nella filosofia del diritto – dove io rivelo il vizio di origine di tutto questo sfascio, di cui sono vittime tutti, come ha detto lei, i carcerati, ma anche i poliziotti, le famiglie e anche i magistrati – qual è questa impasse proprio logica e filosofica? È che noi continuiamo a privilegiare il carcere, la limitazione della libertà personale, come elemento qualificante ed elemento tipico della sanzione penale. Noi siamo ancora fermi al vecchio sistema di pensare della ‘retribuzione’, che sia proporzionata alla colpa, ma senza tener conto che questa retribuzione possa anche diventare crudele. Non solo in tal caso in contrasto con i principi di umanità delle leggi internazionali e della nostra Costituzione, non solo in contrasto con quello che dovrebbe essere il fine rieducativo che la stessa Costituzione sancisce, ma anche al punto da trasformarsi in ‘pia illusione’. Perché chiunque abbia esperienza di filosofia generale del diritto, di criminologia ma anche di pratica, sa benissimo che non è certo l’effetto deterrente della pena che possa limitare i reati. Lei ha citato gli anni ’40. Allora, le nostre prigioni adesso non sono sicuramente quelle della Prinz Albrecht strasse o della Geheime Staatspolizei, però c’è una cosa da dire: che effettivamente loro erano convinti, per la loro filosofia, che tanto più feroce fosse la pena e tanto più sicuro fosse lo stato. Sono stati clamorosamente smentiti proprio durante la Seconda guerra mondiale quando, nonostante pene rigorosissime come la pena di morte per reati anche minimi come la Borsa nera, ciò nonostante la Borsa nera proliferava”. “Non è l’entità della pena che può servire da deterrente. Noi però ci siamo filosoficamente fermati a questo principio: il carcere, le manette, le sbarre, sono l’elemento qualificante ed elettivo della sanzione penale. E finché questo rimane, non ne usciremo. E perché non ne usciremo? Perché noi abbiamo un tot di reati che continuano a essere commessi, perché abbiamo una pan-proliferazione legislativa che contempla come reati anche fatti bagatellari, come si dice. La stessa guida in stato di ubriachezza – cioè la guida con due spritz a stomaco vuoto – anche quella evoca il carcere. Poi altri reati che intasano i tribunali e le celle. Da questa filosofia antica, noi non siamo riusciti a estrapolare una novità che potrebbe essere quella esattamente opposta: il carcere dovrebbe essere l’extrema ratio, l’eccezione dell’eccezione nella sanzione. Saremmo facilitati a risolvere il problema se già da un punto di vista filosofico ci convincessimo che il carcere rischia di essere non solo inutile ma anche criminogeno, e quindi di provocare una clonazione”.

Pannella: “Rischia?”.

Nordio: “Io mi devo esprimere in termini molto più cauti perché sono un magistrato e non un politico. Ma non credo che chi esca dalle carceri, nello stato attuale in cui sono, esca non dico ‘redento’ o ‘rieducato’ – che è già una brutta parola che mi puzza di gulag – ma semplicemente ‘migliore’ di quando è entrato”.

Pannella: “Stiamo facendo di queste carceri i luoghi di una resistenza culturale, umana, civile e politica nonviolenta che non a caso viene totalmente ignorata”.

Nordio: “L’amministrazione della giustizia è la causa e l’effetto di questa filosofia antica, che vede nel carcere e nella obbligatorietà dell’azione penale la garanzia della sicurezza sociale. Non è così, secondo me, neanche da un punto di vista empirico e sociologico”. “L’attuale codice penale è firmato da Mussolini e dal re. Paradossalmente questo codice è rimasto in piedi, mentre quello firmato da una medaglia d’oro alla Resistenza come il ministro Vassalli e da un luminare immenso come Giandomenico Pisapia, cioè il codice di procedura penale, è stato modificato, integrato, soppresso molto di più di quanto non lo sia stato il Codice penale”.

Pannella: “Non dimentichiamo le modifiche evocate e proposte dall’ex presidente della epubblica, Francesco Cossiga. I comunisti e la sinistra sono stati i maggiori sostenitori, contro la nostra azione, di questi peggioramenti di tipo totalizzante del nostro diritto”.

Nordio: “Avendo indagato, uno dei pochi in Italia, nei confronti di quel partito, preferirei non esprimermi. Anche se mi sento di contraddirla nel senso che il Partito comunista negli anni 70 intanto ha agito molte volte in situazioni di emergenza, come nel caso Moro, e in sintonia con la Dc; ma io poi non circoscriverei la responsabilità a questo o a quel partito, per un motivo molto semplice, che è comprensibile anche a chi non è laureato in Giurisprudenza. Noi in questi anni abbiamo sempre sentito parlare di ‘leggi ad personam’, perché ci si riferiva al primo ministro. Ignorando che l’intera produzione normativa penale è tutta ad personam, è stata tutta costruita nel Secondo Dopoguerra sulla base di eventi contingenti”. Gli esempi della legge Freda, la legge Valpreda, la legge Tortora, eccetera. “Una rivoluzione dell’intero sistema dell’amministrazione della giustizia, al di là e oltre la necessità attuale dell’amnistia, è davvero una conditio sine qua non. Ma deve transitare per una riforma costituzionale, e anche la nostra Costituzione paradossalmente è più legata al codice fascista che all’ideologia antifascista dalla quale è stata partorita”.

Pannella: “Secondo i dati del ministero di Giustizia, la metà di quelli che sono carcerati in corso di giudizio saranno giudicati innocenti, e di questo non ne parla nessuno”.

Nordio: “Dove lei ha perfettamente ragione, e questo è un punto che anche con i magistrati non si riesce mai a tenere un discorso razionale perché alla fine prevale l’emotività, è il fatto che i sostituti procuratori e i pubblici ministeri – oggi sono procuratore aggiunto, ma sono stato Sostituto procuratore – sono costretti, contro la loro coscienza, a scegliere quali processi fare e quali non fare. La prescrizione è il vero fallimento dello stato. Il fallimento dello stato non è l’amnistia, ma quando lo stato dice: ‘Volevo far tutto, sapevo che non ci sarei riuscito, ho fatto finta di poter far tutto e alla fine mi arrendo perché il processo è prescritto’. E questa non è più discrezionalità, questo è arbitrio. erché la discrezionalità è per definizione vincolata. La discrezionalità è vincolata perché ci sono dei parametri certi che dicono, come faceva l’editto pretorio una volta: ‘Tu hai questo tipo di risorse, questo tipo di problemi, tu quest’anno devi dare priorità a questi e questi ultimi reati, e ogni volta che scegli devi spiegare’”. “A questo ci sarebbe un rimedio: basterebbe modificare l’obbligatorietà dell’azione penale in discrezionalità vincolata”.

Pannella: “Proponemmo il referendum, ma la Corte costituzionale non ci ha consentito di tenerlo”.

Nordio: “La discrezionalità vincolata andrebbe coniugata a una forte depenalizzazione. In poche parole, se i magistrati potessero occuparsi soltanto dei reati veri, non delle sogliole sottodimensionate come noi dobbiamo fare a Venezia se il pescivendolo vende una sogliola di dieci centimetri più piccola…”. “Se riuscissimo a coniugare discrezionalità e depenalizzazione, tutta una serie di processi collasserebbero da soli”.

Pannella: “Noi abbiamo la dimostrazione che il popolo italiano, nel momento in cui abbiamo posto una serie di referendum su questa serie di patologie, ha sempre risposto positivamente. La gente comune ha un sentimento della giustizia. Chi è che nella politica italiana ha l’autorevolezza, la forza e il potere? Chi nelle metamorfosi del male, essendo stato portato dalla storia a far parte dei vittoriosi contro i fascismi, in Italia è da 60 anni potere politico più potente: quello di derivazione giacobina – vogliamo dire? –, della sinistra comunista italiana”.

Nordio: “Da liberale sono convinto delle tesi di Bernard Mandeville che pochi conoscono ma che secondo me tutti dovrebbero studiare. Oltre ad aver scritto un bellissimo pamphlet d’elogio delle case di tolleranza, ne ha scritto uno ancora più bello sulla storia delle api, la cui morale era come convertire i vizi privati in pubbliche utilità”. “La morale è molto semplice: il vizio non va combattuto, va tassato. E quindi viene convertito in pubblica utilità. Questo vale per il tabacco, per il whisky, e – aggiungo io – dovrebbe valere anche per la prostituzione. La quale, se fosse legalizzata e tassata, renderebbe secondo calcoli molto riduttivi, dai 5 ai 10 miliardi di euro l’anno. Di questo non se ne parla”. “Sono un liberale, certo non sono mai stato di sinistra, sono un liberale riformatore. Però quello che mi ha sempre stupito dei miei amici di sinistra – e allora in questo senso sì, sarei di sinistra – è il fatto che una delle loro bandiere è la tutela del debole nei confronti del forte. Mi pare sia il primo comandamento del cristianesimo e della sinistra. Nessuno ha riflettuto sul fatto che quando uno si trova davanti al procuratore della Repubblica o generalmente al magistrato penale, è sempre il più debole. E oso dire che tanto più quella persona è forte nella società, a maggior ragione è debole perché ha molto più da perdere. Io ho interrogato imputati eccellentissimi, economicamente e non solo, circondati da uno stuolo di avvocati costosissimi e bravi, che tremavano davanti al magistrato. Mentre ho interrogato delinquentelli che prima non si erano nemmeno presentati davanti a me. Perché psicologicamente, economicamente e socialmente parlando, la persona più è potente più ha da perdere. E questo si vede nel più lacerante dei paradossi in un atto giudiziario che non dovrebbe avere nessun significato, cioè l’informazione di garanzia. I tre processi più importanti della storia sono stati tre processi legalmente impeccabili ma sostanzialmente iniqui. Perché quello di Gesù, quello di Galileo e quello di Socrate si sono conclusi con sentenze allineate alla più pura legalità, ma sono stati contrassegnati da una iniquità sostanziale lacerante”. “Il caso Sallusti è questo: nel doveroso rispetto della legalità, noi possiamo compiere una incredibile ingiustizia”.

Pannella: “Le ragioni dell’amnistia è che sarebbe una “riforma strutturale” che può ridurre drasticamente il numero di processi pendenti, consentendo di riorganizzare amministrazione della giustizia e risorse sui processi poi rimasti. A quel punto le riforme – dalla separazione delle carriere al superamento dell’obbligatorietà dell’azione penale – seguiranno”.

Nordio: “Io ho capito il pensiero discorsivo di Pannella, e vorrei dire che lo condivido se noi consideriamo l’amnistia come provvedimento choc sotto questo profilo. Sarebbe una tale esplosione di energie nuove che rimetterebbe tutto in discussione e faciliterebbe tutta una serie di riforme che potrebbero venire da sé. Esattamente come dopo le grandi battaglie sul divorzio, le altre son venute da sole e concentrate in poco tempo. Si è potuto riformare il diritto di famiglia dopo che si era rotto un tabù. Detto questo, io che purtroppo o per fortuna non voglio ragionare in termini politici, ma essendo tecnico del mestiere di questo mi devo occupare, da tecnico credo che innanzitutto sia molto difficile che questa interessantissima opzione – metà emotiva e metà logica – dell’amnistia come choc possa essere recepita dai politici. I politici badano al consenso immediato, e il consenso immediato del popolo – sotto questi profili – è estremamente ondivago. A me piacerebbe molto svegliarmi una mattina e dire: oggi il Parlamento ha avuto questo choc e questa visione quasi divina, e ha deciso di fare quello che dice Pannella; e da domani cambierà tutto perché dopo l’amnistia cambierà il modo di vedere le cose. Però lo vedo molto difficile come fattibilità. Mi accontenterei, da modesto operatore del diritto, che vi fosse in prima battuta un’amnistia proprio perché non se ne può fare a meno, ma che subito dopo – choc o non choc, adesione o no all’interpretazione che ha dato lei, onorevole Pannella, a questo effetto deflagrante dell’amnistia – si dicesse: bene, ricordiamo che l’amnistia estingue il reato e anche la pena, ci libera da una serie di fascicoli, ci libera da incombenze, ma se non si fanno altri tipi di riforme torneremo alla stessa situazione di prima nel giro di due anni”.

Pannella: “Non vive dialogo, informazione e conoscenza. L’elemento choc è un elemento che subentra. Ma io pongo un altro problema, è una domanda che faccio al maestro, non chiedo che risponda qui: quando un cittadino vede una flagranza di reato e di violenza, se lui non interviene è un reato. È ‘omissione di…’. Quando lo stato si trova strutturalmente, per decenni, in condizione ufficiale di flagranza di reato nei confronti della propria legalità, cosa si può fare? La violenza? Noi fino a 100 anni fa da liberali ritenevamo che il tirannicidio fosse legittimo; poi tra giacobini ed altro, le cose si sono complicate. A noi ci imputa, da più di 30 anni, e poi negli ultimi 18 sempre più formalmente, la Grande chambre, il Comitato dei ministri, il Consiglio d’Europa, deplorano la durata dei processi italiani che, accumulandosi, crea patente ingiustizia”. “Riforme della giustizia e depenalizzazioni sono nei nostri processi di legge”.

Nordio: “Io sono favorevole all’amnistia. Dopo avere sentito questa appassionata difesa culturale e psicologica, ho capito qualche cosa di più. Vorrei dire anche che sicuramente su un punto mi ha convinto: le grandi battaglie ideali si devono iniziare indipendentemente dalla fattibilità del risultato concreto, ma che comunque sono proprio quelle che all’inizio sembrano più disperate. Io posso dire solo che questo glielo auguro di tutto cuore, e me lo auguro come magistrato e cittadino, perché sarebbe una vera rivoluzione culturale. Poi della natura umana ho una valutazione un po’ più pessimista, ma questa me la tengo per me”. “Però c’è un altro aspetto estremamente interessante di quello che lei ha detto, che si potrebbe sottolineare con la famosa frase di Napoleone ‘l’intendance suivra’: fate l’amnistia e l’intendenza seguirà, tutto il resto verrà da sé, comprese le grandi riforme. Questo potrebbe essere vero”. “Il resto però è futuro ed è politica”.

(È la trascrizione di una conversazione, a “Radio Radicale” tra Carlo Nordio e Marco Pannella il 2 dicembre 2012. I testi, trascritti da Marco Valerio Lo Prete, non sono stati rivisti dagli autori).

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